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 Ancora una volta l’artista Manolo Cocho intraprende un esplosivo lavoro artistico - composto di disegni su carta/cotone, pitture su tela, fotografie, video-proiezioni e un’installazione - per visualizzare un pensiero, o meglio una teoria.  Il ragionamento, la ricerca intellettuale, la conoscenza scientifica sono intimamente legati alla sua produzione artistica. L’opera, per Manolo Cocho, è la dimostrazione poetica - ridondante di spunti visivi, simbolici e semantici-  di un’idea che cresce alimentandosi di un’informazione a vasto raggio, che va dalla filosofia alla scienza, al mito in un prorompente coagulo di materia e spirito percorrendo  tracciati cognitivi  e visionari sia del passato che del presente, in proiezione futura. Il suo pensiero è aggiornato sui crinali della nuova scienza, sul percorso  -non-lineare-  dei sistemi di reti che crescono all’infinito innescando la teoria della complessità, su quella del caos. Le opere, in centinaia di versioni, tutte straordinariamente vivide, gonfie di motivi grafici iterati e interrelati come di libere stesure cromatiche sapientemente pittoriche, con le loro allusioni simboliche, divengono la traduzione visiva, delle sue acquisizioni cognitive, dei suoi convincimenti. Sono come le pagine di un libro che si serve di immagini - oltremodo intense e significative -  anzichè di parole, per raccontare i suoi credo sulla realtà circostante relazionata al cosmo. Scienza ed arte sono intimamente connesse come già accadde nel Rinascimento ad opera di Leonardo.

 

  Mare Primo è il racconto della capacità creativa insita nel cervello umano. E’ la proiezione del cervello umano mediante la metafora del mare, dell’oceano dalle profondità infinite, già suggestiva metafora nel celebre film di Tarkovski, Solaris del 1972.

 

   E a questo film Manolo Cocho si ispira, come alla Land-Art di Richard Long e allo sguardo infinito di Alejandro Santigo ( l’occhio sinistro che sprofonda in un tunnel) suo maestro di vita prima ancora che di arte, e grande amico, purtroppo recentemente scomparso e a cui dedica questa mostra.

 

   I rimandi culturali, le citazioni s’addensano molteplici a indicare un background corposo  cui l’artista attinge per configurare questa proposta innestata innanzi tutto sull’acqua, sul mare, specchio in superficie della coscienza e in profondità, negli abissi oscuri, dell’inconscio. E dal fervido materiale dell’inconscio scaturisce e si compone la capacità creativa, che è il nodo fondante di questa ricerca visiva. Anzi l’analisi del meccanismo che origina la capacità creativa del cervello umano che si riallaccia,. potenziandosi,  alla supermente rappresentata dall’oceano di Solaris.  Osserva l’artista : “L’oceano è come una lente d’ingrandimento del meccanismo della creazione” e ci indirizza alla mente universale.

 

   Mare primo dunque come un  modello della mente umana capace di creare. Perchè “primo”? Perchè il mare, in quanto acqua, attiene all’origine della vita, quindi al concetto di primigenio.  Anche se, aggiunge l’artista, le nuove teorie ipotizzano che la vita provenga dallo spazio esterno, dalle stelle e ricorda che secondo la mitologia degli indi Huicioles del          Messico il mondo è stato creato dal cervo azzurro Tamatz Kamyumari che è “acqua di stelle luce gentile del cuore di Dio”, cioè il cielo stellato, il cosmo.

 

   Nel background culturale di Manolo Cocho le informazioni scientifiche s’intrecciano con quelle mitologiche, trovando in  quest’ultime un’integrazione poetica e immaginifica alla pura logica del pensiero razionale, un’apertura “altra” che ammicca al mistero e al divino, sulla base di antichi saperi. Il suo pensiero è comunque pervaso da un afflato spirituale  che congiunge cielo e terra, lasciando porte aperte alla permeabilità di entrambi.

 

  La capacità creativa attinge dunque alla profondità dell’inconscio che sta “dietro” o “sotto” la coscienza, immaginando quest’ultima come superficie del mare, la parte scoperta, riconoscibile. L’ambito della profondità è ricco di archetipi primitivi,  “stampi” dice Manolo Cocho,  ossia involucri predisposti e prefiguranti in cui si caleranno nuove creature affioranti in superficie, cioè alla coscienza.

 

   Da queste riflessioni nasce il meccanismo di come funziona la mente nella sua capacità di creare, attraverso una sequenza di passaggi che parte dalla visione /obiettivo, si attarda sull’attenzione allo stesso, e sull’intenzione,  accumulando energia che si traduce in un atto di volontà, fino alla creazione, alla capacità di trasformare ciò che ci circonda.

Tutto il processo si rastrema e sintetizza nell’immagine della freccia, che in Mare Primo è la nave.

 

   La nave/freccia che per la sua forma fende l’acqua, spostandosi, come freccia appuntita. verso l’obiettivo. La nave di solito reca un carico, di persone o di merci. In Mare Primo queste si fanno metafora dell’obiettivo, caricandosi di aggregazioni cognitive.

 

    Nella traiettoria della nave/freccia s’incontra l’arte di Richard Long, una pratica che nasce dal paesaggio, dalla terra, non per niente si chiama anche “earth art”, oltre che Land-art, un nuovo approccio dell’arte, maturato negli anni 60/70 del secolo scorso, che si misura con l’ambiente, con la semplicità di gesti quotidiani.  Manolo Cocho ha realizzato in precedenza molte opere che possono rientrare in questo alveo espressivo, differenziandosi tuttavia per un’aura rituale, di mistero e di spiritualità che l’artista riesce a sovrapporvi.   La capacità con piccoli scarti creativi  di intervenire sugli elementi naturali, aiutandoli in qualche modo a comporsi in piccoli segnali che si integrano con la terra, con l’habitat circostante, spostando la lettura dell’esistente da abituale e scontata  a nuova visione, a nuova consapevolezza.

 

  Mare Primo è una mostra sul mare. L’acqua - in trasparenza, in translucidi riflessi,  in gorghi notturni, traslata in dimensioni altre, a distanza ravvicinata, proiettata in stesure visionarie - vi domina. Le opere su carta sono più ricche e concitate di segni, di frecce, leggibili e mimetizzate, assorbite in navi che trasportano carichi di conoscenza. Il campo dello scibile è infinito, tra le griglie grafiche e  gli impeti di colore scende l’universo. Dentro c’è tutto. Forse anche gli alieni stanati da Zecharia Sitchin da mondi perduti. Le ultime prove raccontano il mare come paesaggio, acqua, cielo, nubi. Dopo la perlustrazione interiore, lo scandaglio dell’inconscio,  si torna alla superficie con immagini che si confrontano con il reale. Così accade anche con le tele dipinte, con una pittura sempre sostanziosa, ricca di molteplici risvolti espressivi.  Le fotografie, a integrazione,  analizzano un mare grigio con piccole sagome di navi all’orizzonte. Una vision, contenuta, rarefatta e perciò tanto più intensa. I brevi racconti video s’attardano nel mito, nelle antiche personificazioni, componendo un panorama esaustivo ed integrato dove la complessità e l’immensità tendono ad introdurci alla dimensione universale.

                                                                                                                                 

MARE PRIMO

 Once again, artist Manolo Cocho has created an explosive artistic body of work—made up of drawings on fine cotton paper, paintings on canvas, photographs, video-projections and one installation—in order to visualize a thought, a concept, or better yet, a theory. The reasoning behind it all, his intellectual research and his scientific knowledge are all intimitaley linked to his artistic production. For Manolo Cocho, his work is the poetic demonstration—redundant of visual, symbolic and semantic sprouts—of an idea that grows by feeding itself on a wide range of disciplines that go from philosophy to science and myths in a bursting, impetuous clot of matter and spirit, journeying through cognitive and visionary sketches and outlines, whether from the past or the present, in a projection towards the future. His main intention is fixed on the peaks of avant-garde science, on a non-linear trajectory of web systems which grow infinitely, in a progressive escalation of the Complexity Theory over the Chaos Theory. His art pieces, in hundreds of versions, all of them extremely vivid, full of reiterative and interrelated graphic motives as well as free cromatic writing, wisely pictoric, full of symbolic allusions, become the visual translation of his cognitive findings and of his convictions. They are rather like the pages of a book which uses extraordinarily intense and meaningful images, long before words, in order to give us an account of his beliefs about our surrounding reality in relation to the cosmos. Here, science and art are connected much in the same way as in Leonardo’s work during the Renaissance.

 

   Mare Primo is the narrative of the innate creative capacity of the human brain. It’s the projection of the human brain using the sea as a metaphor, of the ocean of infinite profoundity, an already suggestive metaphor in “Solaris”, Tarkovski’s famous 1972 film.

 

   Manolo Cocho has been inspired by this film as well as by Richard Long’s Land-Art and by Alejandro Santiago’s infinite vision (the left eye which sinks into a tunnel). Santiago was his teacher on life itself more than art, and a great friend, who unfortunately passed away recently and to whom he has dedicated this exhibit.

 

  The cultural connotations and quotes all condense themselves multiplicitously to indicate a  heavily solid background which the artist has acquired in order to configurate this grafted proposal on water, on the sea; a mirror on the surface of consciousness and, in the deep depths, the dark abysses of the unconscious. And from the fervid material of the unconscious springs man’s creative capacity, which is the main object, the core of his visual research. It is rather an analysis of the mechanism that originates the human brain’s creative capacity, which binds itself to the superior mind (the super-mind) represented by the ocean in “Solaris”. The artist oberves: “The ocean is like a magnifying glass of the mechanism of creation,” and then leads us to the universal mind.

 

   Thus, Mare Primo as a model of the human mind, capable of creating. Why Primo? Why First? Because the sea, inasmuch as water, is intimately linked to the origin of life itself and, thus, to the concept of the primeval. “Even though”, adds the artist, “the newest theories hipotize that life on Earth came originally from outer space, from the stars”. He recalls that, according to the mythology of the Huichol Indians of Mexico, the World was created by Tamatz Kamyumari, the blue deer, that is actually “star water, the gentle light of God’s heart”. In other words, the starry sky, the cosmos.

 

   In Manolo Cocho’s cultural background scientific infor mation is intimately intertwined with mythological knowledge, finding in the latter a poetic and visual integration to the pure logic of rational thought; an alternative opening which winks at mystery and the divine, based on ancient knowledge. His concept is, as it were, invaded of a spiritual inspiration which reunites Heaven and Earth, leaving doors open to a permeability between them. 

 

 

   Thus, man’s creative capacity reaches the deep recesses of the unconscious, which are “behind” or “under” the fringe of consciousness, imagining the latter as the sea’s surface, the unveiled, recognizable part. The confines of the deep are rich in primitive archetypes; “casts”, as Manolo Cocho calls them. In other words,  they are predisposed and prefigurated wrappings in which new creatures will ascend to the surface; in other words, to a state of consciousness.    

 

   From these reflections a mechanism is born that indicates how the mind works in relation to its capacity to create. This happens by means of a sequence of passages which start off with the vision/objective, it then lingers as it focuses on it and on its underlying intention, thus accumulating energy that is then translated as an act of the will, till it finally achieves the act of creation; in other words, the capacity of transforming that which surrounds us.

 

The whole process is reduced and can be synthesized in the image of an arrow, which in Mare Primo represents the ship.   

 

The arrow/ship which, by virtue of its shape, splits the water and then travels, like a pointed arrow, towards its objective. Ships often carry persons or merchandise. In Mare Primo these become a metaphor for the objective by loading itself with cognitive attachments.

 

Within the arrow/ship’s trajectory we find Richard Long’s art: a practice that is born from landscapes, from the Earth. It is no coincidence that it is also called “Earth Art”, besides being called “Land-Art”, a new approach to art which matured during the 60’s and the 70’s of the previous century and which measures iltself against the environment with the simplicity of every-day gestures. Previously, Manolo Cocho created many works which can be included in this expressive tendency, differentiating himself, nonetheless, by a ritual aura, loaded with a mystery and spirituality which the artist manages to instill in us. It is the capacity, by means of small creative leaps and bounds, to intervene natural elements, helping them somehow to transform themselves into small signals that become integrated to the Earth and with our surroundings by replacing the existing commonplace with a new vision and a brand new knowledge.

 

Mare Primo is an exhibit about the sea. Water –in its transparency, its translucid reflections, its nocturnal whirlpools, translated into other dimensions at an approximate distance and projected into visionary writings–  overpowers us. The drawings on paper are enriched and enlivened by legible and mimetized signs, by arrows, absorbed into ships which transport loads of knowledge. The field of  knowledge is infinite; between the graphic grids and the impetuosity of color, the universe descends. It contains everything, perhaps even Zachary Sitchin’s extra-terrestrial beings from lost worlds. The last evidence speaks of the sea as landscape, water, sky, clouds. After inner inspection, the probe of the unconscious, the artist returns to the surface with images that confront reality. The same thing happens with the painted canvases, rich with multiple expressive possibilities. The photographs, integrated to the same concept, analize a gray sea with small models of ships on the horizon. A contained and rarefied vision and, thus, much more intense. The brief video-stories dwell on myths, on acient personifications, composing an exhaustive and integrated panorama where complexity and inmensity tend to introduce us to the universal dimension. 

      

                                                                                      Maria Campitelli

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